Gravidanza: malattie genetiche e diagnosi preimpianto

gravidanza malattie genetiche gravi trasmissione

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L’ analisi genetica preimpianto (PGD) è un importante strumento per evitare che i genitori possano trasmettere ai figli le malattie genetiche di cui loro stessi sono portatori.

Nel caso di malattie per le quali non ci sono cure, occorre fare prevenzione, cercando di evitare che possano essere trasmesse dai genitori ai figli. L’importanza della diagnosi preimpianto è stata riconosciuta dall’Italia con il pronunciamento del Tribunale di Milano (Ordinanza 21 luglio 2017; n. 20991): se una coppia è affetta da una malattia genetica grave, tale da poter portare ad un aborto terapeutico da parte della donna, la coppia ha diritto di ottenere la PGD (analisi genetica preimpianto).
Nell’ambito della legge sulla procreazione medico assistita, si introduce quindi la diagnosi preimpianto, solo se richiesto da una coppia portatrice di una grave malattia genetica ereditaria o da una coppia che non può avere figli naturalmente.

Che cos’è la diagnosi genetica preimpianto?

La PGD è una diagnosi che permette di identificare la presenza di malattie genetiche o di alterazioni cromosomiche in fasi molto precoci di sviluppo.
La diagnosi genetica preimpianto può intervenire già a livello dell’ovocita, andando ad analizzare i cosiddetti globuli polari in coppie ad elevato rischio riproduttivo, prima che gli embrioni da essi derivati siano impiantati nell’utero, oppure pochi giorni dopo la fecondazione.
La PGD sui globuli polari è una diagnosi che può fare solo una valutazione del materiale genetico proveniente dal ramo materno; quindi non si possono valutare le eventuali malattie genetiche del padre.

La diagnosi fatta sull’embrione è invece più approfondita: in questo caso la tecnica prevede l’analisi delle cellule del trofoectoderma della blastocisti, cioè le cellule che andranno a formare la placenta. Con questo tipo di diagnosi è possibile analizzare il materiale genetico proveniente sia dalla madre che dal padre.
La biopsia viene effettuata già al quinto giorno dopo la fecondazione dell’ovocita, quando si è formato un conglomerato di cellule che ha un diametro poco più grande di un decimo di millimetro.
L’obiettivo di questa tecnica è duplice: impedire la trasmissione di patologie ereditarie ed evitare l’eventuale ricorso all’aborto terapeutico.

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