Fratture dita della mano e polso, fratture braccio e gomito: tutore e chirurgia

Per curare le fratture ossee, ormai l’ era del gesso è finita: oggi, nella maggioranza dei casi, vengono usate tecniche più innovative come i tutori, le biotecnologie (anche con iniezioni di cellule multipotenti e fattori di crescita) e la chirurgia mininvasiva che assicura una ripresa più rapida.

In ortopedia, il gesso si usa ancora soprattutto nei bambini, ma spesso è sostituito da gessi sintetici con polimeri plastici già fatti.
La pratica di ingessare l’ arto in caso di frattura viene evitata il più possibile perchè il gesso può avere effetti collaterali, come la rigidità delle articolazioni a monte e a valle della frattura, a causa della lunga immobilità. Il gesso può inoltre portare allergie al cotone che lo riveste, o infezioni cutanee se ci si gratta col classico ferro da calza e la ferita rimane nascosta nel gesso. Inoltre, se l’ ingessatura dell’ arto crea una compressione eccessiva, possono risentirne circolazione e nervi.

Così in campo ortopedico, in caso di fratture alle ossa, chirurgia mininvasiva e tutori hanno preso il posto dei gessi nel 90% dei casi.

Fili e placche per la cura delle fratture alle dita della mano e al polso

In caso di dita fratturate, niente più gesso: si usa la chirurgia mininvasiva. Oggi, senza tagli, si possono sistemare bene le ossa fratturate delle dita inserendo per via percutanea i fili di Kirschner: fili rigidi e sottili in grado di immobilizzare frammenti ossei di una frattura scomposta.
Oppure si usano viti speciali senza capocchia (così non sporgono dall’ osso) che, praticando un solo forellino, risolvono il problema.

Per il polso fratturato, oggi non si usano più i fissatori esterni: quegli strumenti metallici che spuntano dalla pelle e servono a tenere in sezione (o allungare) la parte da guarire. Oggi invece si fa un taglio di pochi centimetri sul palmo della mano, si riducono i frammenti del polso e si inseriscono delle miniplacche che permettono una ripresa immediata. Bisogna operare subito, ricostruendo al più presto il polso danneggiato, anche utilizzando le biotecnologie per ottenere una rigenerazione veloce e perfetta. Altrimenti si rischia di avere la mano storta e, nel tempo, di soffrire di una dolorosa artrosi.

Tutore e miniviti per la cura delle fratture dall’ avambraccio al gomito

Se la frattura del braccio è minima e composta, cioè se l’osso non è a pezzettini e la rottura è ridotta (per esempio fra la parte finale dell’ avambraccio e il polso), non si ingessa più, ma si punta su un tutore. Sono già pronti, sono costruiti con materiali che non danno problemi alla cute, si possono regolare, si possono togliere per lavarsi e proteggono dai colpi.
I tutori oggi usati in campo ortopedico si dividono in tutori statici (tengono ferme le due parti rotte) e tutori dinamici, che permettono o inducono un movimento del braccio (con speciali molle) in modo da farlo guarire mantenendo la funzione articolare a monte e a valle, preservando così anche i muscoli che non diventano fragili (è uno degli effetti collaterali più comuni del vecchio gesso).
Se la frattura è complessa si punta sulla chirurgia e sulle placche. L’ intervento si fa in un’ ora e il paziente muove subito il braccio senza gesso.

Per quanto riguarda la frattura del gomito, per chi incorre nella diffusa frattura del capitello radiale (quella parte del gomito che fa da cardine e si innesta sull’ avambraccio), la ricostruzione con microviti e microplacche (valide in molti casi) dà ottimi risultati.

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