Disfunzioni della tiroide e ipotiroidismo: sintomi, diagnosi e cura ipotiroidismo (ridotta funzionalità della tiroide)

Tra le malattie della tiroide, l’ ipotiroidismo (ridotta funzionalità della tiroide) è una disfunzione in costante aumento anche tra le giovani donne. Spesso, però, i sintomi dell’ ipotiroidismo vengono attribuiti allo stress: senso di stanchezza cronica, tendenza ad ingrassare, ritenzione idrica, occhi gonfi al risveglio, stitichezza, pelle pallida e secca, capelli radi o aridi e tendenza a soffrire di depressione e di malinconia sono alcuni dei sintomi più comuni dell’ ipotiroidismo. Tutti questi di­sturbi, che spesso sembrano apparentemente non correlati, possono invece avere un’ origine comune: l’ ipotiroidismo, una patologia che spesso non viene prontamente diagnosticata. I sintomi dell’ ipotiroidismo vengono infatti definiti “aspecifici” perché non tipici ed esclusivi dell’ ipotiroidismo.

DAI SINTOMI DELL’ IPOTIROIDISMO ALLA DIAGNOSI: le analisi mediche

Se c’è il sospetto che la tiroide (la ghian­dola alla base del collo che regola il metabolismo) funzioni un pò a rilento, è bene rivolgersi al medico di base per farsi prescrivere un semplice esame del san­gue. L’ esame medico serve a dosare la concentrazione degli ormoni tiroidei: il TSH (l’ ormone tireotropo o tireostimolante), la T3 e la T4. Se dalle analisi l’ ipotiroidismo è confermato, il TSH avrà valori altissi­mi, mentre gli altri due (T3 e T4) saranno sotto la nor­ma, a riprova di una tiroide divenuta pigra che lavora meno di quanto dovrebbe.
Per quanto riguarda la causa di questa ridotta funzionalità della tiroide (ipotiroidismo), nel­le donne giovani sotto o intorno ai 40 anni si assiste spesso ad una progressiva “inattivazione” del tessuto tiroideo ad opera di an­ticorpi prodotti dal proprio organismo che, anziché combat­tere contro un nemico reale, si scagliano contro la tiroide.

Tale malattia, chiamata tiroidite di Hashimoto (dal nome del suo sco­pritore) o tiroidite cronica autoimmune, viene accertata dalla presenza nel sangue di spe­cifici anticorpi. Un’ ulteriore conferma viene dall’ esame ecografico che rivela una tiroide ingrossata, spesso già rilevabile alla palpazione, con caratteristiche precise ben di­verse dal comune “gozzo” (un’ altra forma di ipotiroidismo legata ad una carenza endemica di iodio e che, grazie alla maggiore diffu­sione del sale iodato, è in progressivo calo).
Se si soffre di tiroidite cronica autoimmune, occorre inoltre fare attenzione alla comparsa di “cistine” e rigonfiamenti (che danno un senso di oppressione) alla base del collo. In questa forma di ipotiroidismo, infatti, è facile riscontrare la presenza di noduli, la cui natura va sempre indagata. Fino a poco tempo fa l’ unico modo per ricevere delle risposte certe riguardo alla natura benigna o maligna dei noduli era fare l’ esame citologico dopo aver eseguito l’ agoaspirato. Oggi, invece, per fugare ogni dubbio c’è un nuovo esame: l’ elastosonografia, una specie di ecografia che analizza il grado di elasticità del tessuto nodulare. Se il tessuto del nodulo è “elastico” ha un’ altissima probabilità di essere un nodulo benigno.

CURA DELL’ IPOTIROIDISMO: la terapia medica

La cura dell’ ipotiroidismo consiste nel compensare le carenze del principale ormone ti­roideo, ripristinando nel sangue e nei tessuti le normali concentrazioni. A tale scopo viene prescritta una dose giornaliera di levo­tiroxina, corrispondente appunto alla T4, da prendere al mattino (rigorosamente a digiuno). La durata della cura varia in base alla tiroide rimasta funzionante, e va da un minimo di diversi mesi a un trattamento sostanzialmente cronico, in caso di compieta assen­za dell’ attività tiroidea. Va però precisato che non è sempre facile azzeccare la giusta dose al primo colpo, per questo occorre controllare la concentrazione degli ormoni nel sangue a distanza di 3-4 mesi dall’ inizio del trattamento per ri­calibrare la dose, programmando poi dei controlli an­nuali per verificare l’ efficacia della cosiddetta dose di mantenimento. Infi­ne, va ricordato che alcuni alimenti e farmaci possono interferire con l’ assorbimento di levotiroxina, tra questi i più diffusi sono i cibi a base di fibre integrali e di soia, i farmaci prescritti per combattere l’ acidità gastrica, nonché gli integratori contenenti sali di calcio e di ferro.
In genere, la dose della terapia per la tiroide con levotiroxina viene calcolata dall’ endocrinolo­go secondo una formula matematica: 1,6 ug di or­mone tiroideo per ogni chilo di peso corporeo. In realtà, uno studio condotto dal Dipartimento di endocrinologia dell’ Università di Pisa (pubblicato su The Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism) dimostra come sia più corretto calcolare la do­se non tanto in base al peso “in toto”, quanto in base all’ in­dice di massa magra. I muscoli, infatti, “consumano” molta più levotiroxina rispetto al tessuto adipo­so. Per conoscere la composizione del peso corpo­reo e il rapporto tra massa grassa e muscolatura (massa magra), biso­gna fare un esame: la bioimpedenziometria.

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